La bella pubblicazione, curata da Giuse Scalva, ha un significato duplice;
da un lato, documenta, scheda e testimonia dati figurativi e decorazioni
architettoniche presenti sul territorio, come in una sorta di campagna
di catalogazione e di studio, e questo è l'aspetto più connesso col ruolo
della curatrice che è funzionaria per il Canavese e le Valli di Lanzo della
Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per le province
di Torino, Asti, Cuneo, Biella e Vercelli, di recente costituita, sdoppiando
l'unica Soprintendenza del Piemonte, ma, dall'altro, il testo presente è una
testimonianza antropologica e culturale di grande rilievo, di un mondo e
di una civiltà, contadina, preindustriale anteriore ad ogni possibile mondo
della comunicazione, che non esiste più, se non nelle residue, fievoli
testimonianze che la attestano e la evocano. Il vero nodo della situazione
è che per cogliere queste testimonianze bisogna avere la preparazione
e l'occhio, allo stesso modo che un terreno che non dice assolutamente
nulla al non specialista, è ricco di informazioni, di dati e di notizie per
l'archeologo che lo stia scavando o rilevando. Analogamente alle raccolte
di strumenti e attrezzi legati alla conduzione della terra, o alle testimonianze
della civiltà industriale ai suoi esordi, il repertorio delle immagini della
Sacra Sindone, la celeberrima reliquia conservata a Torino già di proprietà
di Casa Savoia e ora della Santa Sede, dipinte sulle facciate di case, cascine,
chiese e cappelle parla di un mondo, del tutto scomparso in cui la fede era
un valore essenziale e il riferimento al Santo Sudario detenuto e venerato
in primis dai monarchi; valeva a colmare il divario abissale tra la vita nei
campi e quella nella capitale e nella corte e ad accomunare una collettività
di individui che, nel culto dedicato alla testimonianza delle sofferenze
e alla morte di Cristo Uomo e Dio, trovava un senso ad una vita certo
piena di incertezze, fatiche e tribolazioni. Ma anche di gioie, perchè tali
sono i valori condivisi di cui queste raffigurazioni, per la maggior parte
di ingenua fattura, sono un'efficace testimonianza; possiamo solo tentare
di cogliere il senso che, nell'immobilismo di un universo agricolo, questi
segni hanno avuto per generazioni di individui. La riflessione su ciò che
non riusciremmo altrimenti a cogliere e l'invito ad una fruizione rispettosa
di questi tempi e di questi valori sembrano già chiavi di lettura adeguate e
un primo esito della pubblicazione che qui si presenta, oltre che un tassello
importante di quell'attività di tutela che è un servizio pubblico in senso
pieno in quanto svolto in nome e per conto della collettività.
Soprintendente per i Beni Architettonici e Paesaggistici per le
provincie di Torino, Asti, Cuneo, Biella e Vercelli
Gianni BOZZO